Un libro ed un opinione – episodio 13: Davide Longo


„Silenzio infinito“ o la fusione della verità nella neve
Il mangiatore di pietre di Davide Longo e perché questo romanzo non è un giallo, 
ma un grande pezzo di letteratura

di Friederike Römhild

 Fandango 2004                     Fandango 2012                              Feltrinelli 2016
Nel centro del romanzo Il mangiatore di pietre (2004) di Davide Longo che non è un giallo, ma gira intorno a un delitto, sta Cesare. Lui trova morto il trentenne Fausto Berardi con cui ha fatto passare per alcuni anni i profughi dalla valle Varaita attraverso i monti in Francia. Cesare, chiamato da tutti “il francese”, perché era trasferito colla famiglia a Marseille 1949, rientra solamente di nuovo come adulto nella sua patria. Quel giorno a Francia aveva undici anni quando non riusciva la scuola e cominciava lavorare al porto come lo faceva anche suo padre. Perché una lesione personale di un poliziotto durante un litigio su un bastimento Cesare doveva andare per cinque anni in prigione. 

Dopo il suo rilascio tornava in Piemonte. Innamorato nella giovane Adele lui si lasciava convincere di lavorare come scafista per i profughi africani per il motivo di ricevere i soldi per il matrimonio con Adele. Quando Cesare scopre la salma di Fausto nell’alveo del Cumbo lui è già da molto tempo un uomo solitario. Dal morto di Adele tredici anni fa viveva ritirato e solo nei monti. La scoperta della salma causa per di più materia di conversazione, perché Fausto non è affogato, ma ucciso da due spari. Nel villaggio la gente parla più l’uno sull’altro di insieme e subito Cesare è sospettato. Questa è la storia criminale del romanzo.

La storia della famiglia di Cesare si svolge per inciso nel romanzo come l’ininterrotta delucidazione del caso di omicidio. Nel bar i telegiornali regionali in fondo rapportano dall’omicidio. La commissaria Sonia di Meo che dirige gli accertamenti del caso dell’omicidio è sempre di nuovo in dialogo con Cesare. Ma tra tutte due sorge una vicinità ed intimità che serve di meno la delucidazione del delitto e più la chiarificazione della figura Cesare che si fa la sua propria idea della cosa. Cesare trova in capanna di Fausto un sacco con i soldi, i risultati delle analisi e le chiavi, ci sono un conto di banca in Francia, contatti a Torino, indicazioni e tracce che quasi non portano qualche risposta. “Nella finestra al nord la luce già si infiltrava inanimata, la finestra al sud sembrava come un quadro bianco e senza cornice.” La neve assorbe tutto.

Né il decorso esatto né la sua ricostruzione com’è tipica per un giallo diventano raccontato, ma conosciamo la matrice della percezione dei figuri, per esempio la padre di Fausto: “Parin Griros considerava i grossi fiocchi di neve in finestra, erano così lontano.” O: “La commissaria considera la neve che sembra monotona tramite la luce della luna.” E senza diventare metaforico o drammatico, in questo realismo semplice si trova nascosto la totale dramma  della solitudine. Sottile e chiaro allo stesso momento. 

Dunque in primo piano di questo romanzo si spinge di più dalla prima pagina una silenziosa e deprimente atmosfera che crea uno spazio di spirito in cui gli uomini cominciano di lottare con la loro propria identità in modi diversi, nel centro Cesare. Questa tonalità atmosferica e densa che il romanzo non perde più fino la fine è trasportata tramite le descrizioni del paesaggio e dal motivo della neve. I protagoniste si sentono straniati dal dintorno: “Dietro di se si sente la natura, era silente e zitta, ma non si sentiva collegato con lei. Anche la casa che era stata sempre la sua propria casa, gli sembrava adesso straniata.” 

Quest’intensità e questo rigore sono impressionanti con cui Longo crea un silenzio e una solitudine che circonda le figure, ma non le sommuovono. In autobus, sulla strada, in bar o nei monti, così incolore e senza struttura come la neve è anche la comunicazione degli abitanti di villaggio e delle protagoniste. Una sfera del non parlare e del silenzio che racconta senza diventare ad alta voce: “Rimaneva indietro un silenzio di tanti piccoli rumori, nessuno copre l’altro.”, si legge una volta. Da ascoltare è il ronzio del frigo in bar locale e niente l’altro – non le voci, non i bicchieri, non la serata, non le strade. Unicamente il ronzio del frigo. Accanto alla natura ci sono solamente pochi luoghi dell’azione: c’è l’appartamento di Cesare, la capanna di Fausto, il bar, il panificio e il commissariato. 

  btb 2008                         Klaus Wagenbach 2015                  Rowohlt 2016
Tutti nel romanzo si riduce in questo modo: il paesaggio, gli uomini, loro conversazioni ed anche la lingua dell’autore, sia l’atmosfera che la tensione, i luoghi dello spettacolo nonché le ore. In questa riduzione lo spazio ed il tempo, le protagoniste e l’azione trovano la loro forza ed intensità. Questa riduzione e silenzio inaspriscono un’ atmosfera apocalittica che si perde nell’anonimità: “Da fuori non arriva il rumore più piano, come il mondo fosse affondato da molto tempo.” Così il giovane Sergio viverlo: “Gli uomini succedono tante cose, ma nessuno sa qualcosa dall’altro.” 

Questa lingua e plasticità di Longo sta parzialmente in traduzione di una letteratura di sfondo regionale e il suo rappresentante più famoso del Novecento: Cesare Pavese. Già Pavese utilizzava l’andata attraverso il paesaggio, la qualità della natura, il cambio degli stagioni e della luna – per esempio in La luna è il falò (1950) - , a cui anche Longo riferisce, per creare una specifica atmosfera di solitudine e di essere arcaico. Davide Longo che era festeggiato come una nuova voce della letteratura italiana in Germania dopo l’uscita del suo romanzo, è nato 1971 a Carmagnola presso a Torino e sta vicino il piemontese Pavese anche in senso geografico.

Invece della chiarificazione dell’omicidio succedono nuovi atti di violenza senza senso. Per esempio quando Cesare si guarda intorno alla capanna di Fausto – il luogo del delitto – e incontra Sergio, l’unico testimone dal morto di Fausto. Primo riconoscergli gli feriva grave col coltello. Il sentimento della crudeltà sviluppa il lettore per se stesso appena perché il testo rimane alla descrizione pure della realtà. Così è anche raccontato totalmente senza emozioni il funerale di Fausto: “Sul cimitero il parroco teneva una breve predica, poi la cassa da morto era messa nella tomba della famiglia ed il becchino spingeva un piccola paglietta davanti alla apertura, perché sembrava che c’è ancora la neve e primo il prossimo giorno non la avessi potere chiudere.”

Quando Cesare e Sergio arrangiano alla fine lo scorso trasporto dei profughi che doveva fare normalmente Faust, si avviene una sparatoria nella montagna. L’aggressore finalmente diventa sparato. Che si tratti dell’uomo con cui Cesare stava alla tomba di Fausto primo e con cui gli collega un’amicizia lunga, il lettore non aspetta. Anche se si ricorda che Cesare ha raccontato in realtà lui dall’ultima traslazione dei profughi in Francia. Ma così rimane avvincente.

Dal primo secondo è nell‘aria del testo una tensione che continua fino la fine e anche oltre a ciò. L’andatura con i profughi attraverso la montagna che è raccontata ampiamente fa vedere sempre di più la paura che cinge Cesare che era a dispetto degli eventi caratterizzato di una sovranità vistosa. Con il movimento dei profughi anche la psicogramma di Cesare prende l’aire. È la chiamata di un gufo che Cesare lascia rendersi conto dopo il scontro fuoco “come era solitario. Non come di solito quando lui si rinchiudeva nella camera o sedeva al vecchio forte. Anzi una solitudine che né si divide con qualcuno né comunicare qualcuno, perché serve che rimane non toccato. Per questo il prezzo è il silenzio.” E anche il romanzo non tocca questa solitudine, ma riesce con la riduzione della narrazione e la riflessione dei processi di percezione presentare questa solitudine senza toccarla. Questo romanzo parla rispettando il silenzio, racconta senza rivelare, ricorda senza inventare.

Il silenzio dei abitanti paesani e il luogo che è coperto dalla neve sono motivi: “E sanno, Cesare, se si vuole sapere qualcosa assolutamente. Soprattutto perché sono i dubbi che ci alimentano.” La ricerca della conoscenza, l’eliminazione dei dubbi, la dibattimento delle domanda di Cesare diventa punito duro con l’omicidio della sua cagna. “Cesare chiude gli occhi, il sole abbacina troppo forte per via della neve.” La neve è il motivo per trattare il potere ed il sapere. Fa male negli occhi se si vede la neve, se si vuole squagliarla. Il silenzio degli uomini di questo luogo diventa viepiù un meccanismo di repressione. Qui parla devi temere il male. “Si può intendere in questa valle il parlare sarebbe una vergogna”, dice la commissaria Sonia.

E comunque la neve ed il silenzio sono l’unico segno della vita: “Gli enormi cumoli bianchi che il spazzaneve accatasta sui due lati del monumento erano l’unica cosa vivace nel villaggio.” Sempre più chiaro si fa vedere che la vita degli uomini di questo luogo è già tramontata, possibilmente già primo la morte di Fausto. Perché c’è niente che si porta a parte dell’esistenza della neve – alcuno caldo tra gli uomini, alcuna apertura mentale e l’amore del prossimo e soprattutto alcuno fedeltà né negli uomini né nella vita della comunità. Proprio alla fine del romanzo quando la committenza è realizzata  e c’è di nuovo uno morto nella montagna la neve comincia squagliare e il testo si ritira ancora una volta nel ricordo primo è troppo tardi finalmente anche per Cesare.

Anche se il romanzo di Davide Longo usciva in 2004 in Italia e la prima volta in tedesco era pubblicato in 2008 nella casa editrice btb, Longo è proprio arrivato ai lettori tedeschi fino dalla riedizione del romanzo nella casa editrice Klaus Wagenbach 2015 e nella casa editrice Rowohlt 2016. Cioè Davide Longo è più di un autore dei gialli, anche se diventa letto come questo in Germania. Questo è forse causato dal titolo del suo secondo libro tradotto in tedesco: “Il caso di Bramard” è pubblicato 2015 a Rowohlt. E con questo il caso Longo non è ancora finito.

(Le traduzioni dei citazioni di Longo sono fatte di Friederike Römhild stessa)

Foto: © Paolo Giagheddu, Rowohlt Verlag

Sito della casa editrice di Rowohlt
Sito della casa editrice di Wagenbach 


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